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Dossier Investigativo sulla cancellare di Notizie da Internet

Il Paradosso della Permanenza DigitalernrnrnrnNell'era digitale, l'informazione ha acquisito una caratteristica paradossale: è allo stesso tempo effimera nel suo consumo e potenzialmente eterna nella sua conservazione. Internet si è trasformato in un archivio globale e perpetuo, una memoria quasi infinita che riecheggia la condizione di Ireneo Funes, il personaggio di Jorge Luis Borges che, dopo un incidente, acquisisce la capacità di ricordare ogni singolo dettaglio della sua esistenza. Come Funes scopre a sue spese, una memoria senza la capacità di dimenticare diventa una "grande pattumiera", un fardello che paralizza il pensiero e impedisce di vivere pienamente il presente.


2025-06-29 16:21:53 Visualizzazioni: 154



 

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Questa metafora letteraria cattura perfettamente la condizione contemporanea. Notizie, articoli, commenti e immagini, una volta pubblicati online, possono rimanere accessibili per decenni, indicizzati e resi istantaneamente disponibili dai motori di ricerca a chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Ciò che un tempo era destinato a svanire con il passare delle edizioni di un giornale, oggi persiste in un presente digitale eterno. Di conseguenza, è emersa una crescente e pressante domanda, sia da parte di individui che di aziende, di strumenti per esercitare un controllo sulla propria "storia digitale". L'obiettivo è proteggere l'onore, la reputazione e la sfera privata da informazioni che possono essere diventate obsolete, irrilevanti, inesatte o semplicemente dannose con il trascorrere del tempo.


La Tensione Fondamentale tra Diritti


La richiesta di "cancellare notizie da Internet" non è una semplice questione tecnica, ma il punto focale di una profonda tensione giuridica e filosofica che contrappone diritti fondamentali. Da un lato, vi è il diritto alla protezione dei dati personali, alla privacy e alla reputazione, che mira a tutelare la dignità e l'identità dell'individuo. Dall'altro, si erge il diritto alla libertà di espressione, di cronaca e di informazione, pilastro delle società democratiche, che garantisce alla collettività l'accesso alla conoscenza e la possibilità di formare un'opinione pubblica informata.


Ogni richiesta di rimozione di una notizia implica necessariamente un'operazione di bilanciamento tra questi diritti. Non esiste una risposta univoca o universale; la soluzione varia drasticamente a seconda dell'ordinamento giuridico di riferimento, del contesto specifico della notizia, del ruolo pubblico della persona coinvolta e del tempo trascorso dalla pubblicazione dei fatti. Questo dossier si propone di esplorare come diverse giurisdizioni nel mondo abbiano tentato di risolvere questa complessa equazione.


Monito Preliminare: L'Effetto Streisand


Prima di intraprendere qualsiasi azione volta alla rimozione di un contenuto online, è imperativo comprendere e valutare un rischio fondamentale: l'Effetto Streisand. Questo fenomeno, nato come meme di Internet, descrive la situazione paradossale in cui un tentativo di censurare, nascondere o rimuovere un'informazione ottiene l'effetto diametralmente opposto, ovvero una sua diffusione virale e un'amplificazione esponenziale della sua notorietà.


Il nome deriva dal caso emblematico del 2003, quando l'attrice e cantante Barbra Streisand intentò una causa da 50 milioni di dollari per ottenere la rimozione di una fotografia aerea della sua villa in California da un progetto online di documentazione dell'erosione costiera. Prima della causa, la foto era stata scaricata solo sei volte. La notizia dell'azione legale, tuttavia, scatenò un'enorme curiosità mediatica, portando centinaia di migliaia di persone a visitare il sito per vedere l'immagine "proibita". L'atto di voler nascondere l'informazione l'ha resa immensamente più celebre.


Questo non è un caso isolato. Tentativi simili da parte di altre celebrità, come Beyoncé, o persino di entità più potenti, hanno sortito lo stesso effetto controproducente. Il meccanismo alla base è psicologico e sociale: l'atto stesso della censura segnala che l'informazione è importante o controversa, stimolando la curiosità del pubblico e l'istinto a preservare e condividere ciò che si percepisce come minacciato.


La comprensione di questo fenomeno è di primaria importanza strategica. Un'azione legale pubblica o una richiesta di rimozione gestita in modo maldestro possono trasformare una notizia di scarso interesse, magari sepolta nelle pagine interne di un archivio online, in un caso mediatico di primo piano. Questo non solo fallisce nell'obiettivo di rimozione, ma moltiplica il contenuto su innumerevoli altri siti, blog e social media, rendendo qualsiasi successivo tentativo di cancellazione tecnicamente e legalmente molto più arduo, se non del tutto impossibile. Pertanto, la strategia di rimozione deve essere attentamente ponderata, privilegiando, almeno in una fase iniziale, approcci discreti e mirati, come il contatto diretto e privato con l'editore o l'uso dei moduli di de-indicizzazione forniti dai motori di ricerca, prima di considerare azioni pubbliche che potrebbero innescare questo potente e indesiderato effetto a catena.


Parte I: Il Diritto all'Oblio nell'Unione Europea – Il Modello Centrato sulla Persona del GDPR


L'Unione Europea ha sviluppato l'approccio più strutturato e pro-individuo alla questione della rimozione dei contenuti online, culminato nel concetto di "diritto all'oblio". Questo diritto, che pone la dignità e il controllo della persona al centro del sistema, è stato formalizzato e rafforzato dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR).


 


Fondamenti Giuridici: L'Articolo 17 del GDPR, il "Diritto alla Cancellazione"


Il pilastro del diritto all'oblio in Europa è l'Articolo 17 del GDPR, intitolato "Diritto alla cancellazione («diritto all'oblio»)". Questa norma codifica e consolida un principio già emerso nella giurisprudenza europea, fornendo un quadro giuridico chiaro per il suo esercizio. Lo scopo fondamentale dell'Articolo 17 è quello di restituire agli individui un grado di controllo sui propri dati personali nell'ambiente digitale, consentendo loro di richiederne la cancellazione "senza ingiustificato ritardo" al verificarsi di specifiche condizioni.


Un aspetto cruciale di questa normativa è la sua ampia applicabilità. L'obbligo di cancellazione non ricade solo sull'entità che ha originariamente raccolto e pubblicato i dati (ad esempio, una testata giornalistica online), ma su qualsiasi "titolare del trattamento" che li stia processando. Questo include, in modo determinante per la visibilità online, i gestori di motori di ricerca come Google e Bing, che sono stati qualificati dalla giurisprudenza europea come titolari del trattamento dei dati che indicizzano e presentano nei loro risultati di ricerca.


 


Le Sei Condizioni per l'Esercizio del Diritto (Art. 17, par. 1)


L'Articolo 17, paragrafo 1, del GDPR non conferisce un diritto assoluto alla cancellazione, ma lo subordina alla sussistenza di almeno una delle sei condizioni elencate. L'analisi di queste condizioni, come interpretate dalle linee guida del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB), è essenziale per comprendere quando una richiesta di rimozione di una notizia può essere considerata legittima.




  1. I dati non sono più necessari rispetto alle finalità per cui sono stati raccolti (lett. a): Questa è la base giuridica più frequentemente invocata per la rimozione di notizie online. Si applica quando, con il passare del tempo, un'informazione perde la sua attualità e il suo interesse pubblico, diventando obsoleta o non più rilevante. Un esempio classico è la notizia di un'indagine giudiziaria o di un processo che si è concluso da molti anni, specialmente in caso di assoluzione o archiviazione, dove la continua associazione del nome dell'individuo a quella vicenda non serve più a scopi di cronaca ma arreca un pregiudizio sproporzionato alla sua reputazione attuale.




  2. L'interessato revoca il consenso (lett. b): Questa condizione è meno pertinente nel contesto della de-indicizzazione di notizie da parte dei motori di ricerca. Il consenso, infatti, è tipicamente fornito dall'interessato all'editore originale del sito web (se mai è stato richiesto, dato che il diritto di cronaca spesso costituisce una base giuridica autonoma), e non al motore di ricerca che si limita a indicizzare contenuti già pubblici.




  3. L'interessato si oppone al trattamento ai sensi dell'Art. 21 (lett. c): L'individuo ha il diritto di opporsi al trattamento dei suoi dati. In questo caso, l'onere della prova si inverte: non è più l'individuo a dover dimostrare il danno, ma è il titolare del trattamento (il motore di ricerca) a dover dimostrare l'esistenza di "motivi legittimi cogenti" che prevalgono sui diritti e le libertà dell'interessato, come un interesse pubblico preponderante a mantenere l'accesso a quell'informazione.




  4. I dati personali sono stati trattati illecitamente (lett. d): Questa condizione si applica quando la pubblicazione originale della notizia era illegale fin dall'inizio. Ciò può includere la pubblicazione di notizie palesemente false e diffamatorie (la cui illiceità è stata accertata in sede giudiziaria), o la divulgazione di dati personali sensibili (come informazioni sulla salute o sull'orientamento sessuale) senza una valida base giuridica che lo consentisse.




  5. I dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale (lett. e): Si verifica quando una legge nazionale o europea, o un'ordinanza di un'autorità giudiziaria o di controllo, impone esplicitamente la cancellazione di determinati dati.




  6. I dati sono stati raccolti relativamente all'offerta di servizi della società dell'informazione a minori (lett. f): Il GDPR prevede una protezione rafforzata per i dati personali dei minori. Se una notizia contiene dati di un minore raccolti nel contesto di servizi online, la richiesta di cancellazione gode di una considerazione particolare.




 


Le Cinque Eccezioni Cruciali: Quando il Diritto all'Oblio Soccombe (Art. 17, par. 3)


Il diritto alla cancellazione non è incondizionato. L'Articolo 17, paragrafo 3, elenca una serie di importanti eccezioni in cui l'obbligo di cancellazione non si applica perché il trattamento dei dati rimane necessario per finalità superiori. Queste eccezioni rappresentano il cuore del bilanciamento di interessi richiesto dalla normativa.




  1. Per l'esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione (lett. a): Questa è l'eccezione più significativa e più frequentemente opposta alle richieste di rimozione di notizie. Se la notizia, nonostante il tempo trascorso, conserva un interesse pubblico rilevante per scopi di cronaca, critica o dibattito pubblico, il diritto della collettività a essere informata prevale sul diritto del singolo a essere dimenticato.




  2. Per l'adempimento di un obbligo legale o per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico: Se una legge impone la conservazione di quei dati, il diritto all'oblio non può essere esercitato.




  3. Per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica.




  4. A fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici: Se la cancellazione dei dati renderebbe impossibile o pregiudicherebbe gravemente il raggiungimento di tali finalità.




  5. Per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria: Se i dati sono necessari per una controversia legale in corso o futura.




 


De-indicizzazione vs. Cancellazione: Una Distinzione Fondamentale


È cruciale comprendere una distinzione tecnica e giuridica fondamentale. Quando si esercita il diritto all'oblio nei confronti di un motore di ricerca, il risultato più comune e realistico non è la cancellazione fisica dell'articolo dal server del sito web originale, ma la sua de-indicizzazione (o delisting).


Questo significa che il motore di ricerca rimuove il link alla pagina web dall'elenco dei risultati che appaiono quando si effettua una ricerca basata sul nome della persona interessata. La notizia, di per sé, rimane presente nell'archivio della testata giornalistica e tecnicamente accessibile su Internet, ma solo a chi conosce e digita direttamente il suo URL specifico nel browser. Per l'utente medio, che si affida ai motori di ricerca per trovare informazioni, la notizia diventa di fatto invisibile. Questo approccio è considerato un compromesso efficace, in quanto tutela la reputazione e la privacy dell'individuo senza alterare o cancellare la memoria storica contenuta negli archivi giornalistici.


 


La Dimensione Territoriale: I Confini dell'Oblio


Una delle questioni più complesse e dibattute ha riguardato l'ambito geografico di applicazione del diritto all'oblio. Due sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) sono state determinanti nel definire questi confini.




  • Sentenza Google Spain (C-131/12): Pronunciata nel 2014, questa sentenza storica è l'atto di nascita del diritto all'oblio in Europa. La Corte ha stabilito per la prima volta che i gestori di motori di ricerca sono "titolari del trattamento" dei dati personali e, pertanto, sono tenuti a rimuovere dai loro risultati di ricerca, su richiesta motivata, i link a pagine web contenenti informazioni personali, qualora tali informazioni siano inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti.




  • Sentenza Google LLC c. CNIL (C-507/17): Nel 2019, la CGUE ha affrontato la questione della portata territoriale di tale obbligo. L'autorità francese per la protezione dei dati (CNIL) aveva sanzionato Google per non aver applicato una de-indicizzazione a livello globale, su tutte le sue estensioni di dominio (come google.com). La Corte ha stabilito che, allo stato attuale del diritto dell'Unione, non esiste un obbligo per i motori di ricerca di effettuare una de-indicizzazione su tutte le versioni dei loro motori a livello mondiale. L'obbligo di de-indicizzazione si applica, tuttavia, a tutte le versioni dei motori di ricerca degli Stati membri dell'UE (es. google.it, google.fr, google.de, ecc.). Inoltre, la Corte ha specificato che tale de-indicizzazione deve essere accompagnata da misure tecniche efficaci (come il "geo-blocking") per "scoraggiare" fortemente gli utenti che effettuano una ricerca da un indirizzo IP situato in uno Stato membro dall'accedere ai link rimossi, anche se utilizzano una versione non-UE del motore di ricerca (es. google.com).




Questa decisione rappresenta un punto di svolta nel dibattito sulla sovranità digitale. L'imposizione di un obbligo globale avrebbe significato l'esportazione di un principio giuridico prettamente europeo in giurisdizioni, come quella statunitense, fondate su principi diametralmente opposti di massima libertà di espressione. La Corte, riconoscendo questo potenziale conflitto tra ordinamenti, ha preferito limitare l'applicazione del diritto al territorio dell'UE. Tuttavia, la sentenza contiene una sfumatura cruciale: essa non vieta la de-indicizzazione globale, ma afferma che le autorità nazionali di protezione dei dati o i tribunali nazionali restano competenti a ordinare una de-indicizzazione a livello mondiale, se il loro diritto nazionale lo consente e dopo aver effettuato un adeguato bilanciamento tra il diritto alla protezione dei dati e il diritto alla libertà di informazione. Ciò crea un panorama giuridico complesso e frammentato, in cui la de-indicizzazione è europea "di default", ma può diventare globale "caso per caso" su ordine di un'autorità nazionale, aprendo la porta a potenziali conflitti legali internazionali.


 


L'Evoluzione: Rimozione di Contenuti "Identici" ed "Equivalenti"


Un'altra sentenza fondamentale della CGUE, Eva Glawischnig-Piesczek c. Facebook (C-18/18), ha ulteriormente ampliato gli obblighi delle piattaforme online, in particolare nel contesto della diffamazione. In questo caso, la Corte ha stabilito che un host provider come Facebook, una volta accertata l'illiceità di un contenuto (ad esempio, un commento diffamatorio), può essere obbligato da un'autorità giudiziaria a:




  1. Rimuovere non solo il commento illecito originale, ma anche tutti i commenti identici a quello, ripubblicati da qualsiasi utente della piattaforma.




  2. Rimuovere i commenti dal contenuto equivalente (cioè quelli che esprimono un messaggio "essenzialmente immutato"), ma limitatamente a quelli provenienti dallo stesso utente che ha pubblicato il commento originale. Questa limitazione è stata introdotta per evitare di imporre alla piattaforma un obbligo di sorveglianza generale e attivo, che sarebbe in contrasto con la Direttiva sul commercio elettronico.




  3. Eseguire questi obblighi di rimozione con efficacia mondiale (worldwide), se il diritto nazionale pertinente lo prevede e nel rispetto del diritto internazionale.




Questa sentenza spinge notevolmente i confini della responsabilità delle piattaforme, sollevando al contempo significative sfide tecniche e preoccupazioni per la libertà di espressione. L'obbligo di ricercare e rimuovere contenuti "identici" ed "equivalenti" su scala globale richiede necessariamente l'impiego di sofisticati filtri automatizzati. Tali tecnologie, tuttavia, non sono infallibili e comportano il rischio di commettere errori, rimuovendo contenuti legittimi come parodie, critiche o discussioni giornalistiche sul caso stesso (il cosiddetto over-removal). La definizione stessa di contenuto "equivalente" è intrinsecamente vaga, lasciando un ampio e problematico margine di interpretazione alla piattaforma. Per evitare sanzioni, le piattaforme sono incentivate ad adottare un approccio eccessivamente cauto, di fatto attuando una forma di "censura privatizzata" che avviene senza un controllo giudiziario puntuale su ogni singola decisione. Sebbene la sentenza miri a fornire una tutela più robusta ed efficace alle vittime di contenuti illeciti, essa rischia di trasformare le grandi piattaforme online in arbitri del discorso pubblico su scala globale, con un potenziale e preoccupante effetto raggelante (chilling effect) sulla libertà di espressione.


 


Parte II: Il Contesto Statunitense – Libertà di Espressione e Immunità delle Piattaforme


Il panorama giuridico degli Stati Uniti offre un netto contrasto con il modello europeo. Anziché partire dalla protezione della dignità e della privacy dell'individuo, l'ordinamento statunitense pone al vertice della sua gerarchia di valori la libertà di espressione, creando un ambiente in cui la rimozione di notizie, anche se dannose o obsolete, è estremamente difficile.


 


Il Primo Emendamento come Principio Guida


Il fondamento di questo approccio risiede nel Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che stabilisce in modo inequivocabile: "Il Congresso non potrà emanare leggi [...] per limitare la libertà di parola o di stampa". Questo principio non è solo una norma legale, ma l'espressione di una filosofia profondamente radicata che privilegia un "mercato delle idee" aperto e robusto, dove il rimedio al discorso sgradito non è la sua soppressione, ma un discorso contrario. Di conseguenza, qualsiasi tentativo di regolamentare o limitare la pubblicazione di informazioni viene esaminato con estremo scetticismo dai tribunali, che tendono a proteggere la libera circolazione delle informazioni in modo molto ampio, anche quando queste sono offensive o sgradevoli.


 


La Legge sulla Diffamazione (Libel & Slander): Un Onere della Prova Proibitivo


Anche quando una notizia è palesemente falsa e dannosa, il percorso legale per ottenerne la rimozione attraverso una causa per diffamazione è irto di ostacoli. La diffamazione si divide in libel (diffamazione scritta) e slander (diffamazione orale). Per avere successo in una causa, un querelante privato deve generalmente dimostrare tre elementi: 1) che la dichiarazione pubblicata è falsa; 2) che ha causato un danno concreto alla sua reputazione; e 3) che l'editore ha agito con un certo grado di colpa, almeno la negligenza. La verità della dichiarazione è sempre una difesa completa e assoluta (complete defense).


La situazione diventa ancora più complessa per le figure pubbliche (politici, celebrità, dirigenti aziendali di alto profilo, o chiunque si inserisca volontariamente nel dibattito pubblico). A seguito della storica sentenza del 1964, New York Times Co. v. Sullivan, a queste figure è richiesto di soddisfare uno standard di prova molto più elevato, noto come "actual malice" (malizia effettiva). Una figura pubblica deve dimostrare, con "prove chiare e convincenti", che l'editore ha pubblicato l'informazione falsa sapendo che era falsa o con un "sconsiderato disprezzo" per la verità. Questo standard è stato deliberatamente concepito per essere difficile da raggiungere, al fine di proteggere il diritto della stampa di criticare liberamente i detentori del potere e di evitare che le cause per diffamazione vengano usate per soffocare il dibattito pubblico. Di conseguenza, molte cause per diffamazione intentate da figure pubbliche negli Stati Uniti falliscono.


 


Section 230 del Communications Decency Act: Lo "Scudo" delle Piattaforme


Se il Primo Emendamento e lo standard dell'actual malice rendono difficile citare in giudizio l'editore originale di una notizia, un'altra legge rende quasi impossibile agire contro le piattaforme che la ospitano o la diffondono. Si tratta della Section 230 del Communications Decency Act del 1996, spesso definita "le ventisei parole che hanno creato Internet".


La disposizione chiave, l'articolo 230(c)(1), recita: "Nessun fornitore o utente di un servizio informatico interattivo sarà trattato come l'editore o il diffusore di informazioni fornite da un altro fornitore di contenuti informativi". Questa norma fornisce un'ampia immunità legale a una vasta gamma di intermediari online, tra cui motori di ricerca (Google), social media (Facebook, Twitter), forum, blog e qualsiasi sito che ospiti contenuti generati dagli utenti.


La Section 230 è nata in risposta a due sentenze degli anni '90 con esiti contraddittori. Nel caso Cubby, Inc. v. CompuServe, un provider che non esercitava alcun controllo editoriale fu considerato un mero "distributore" e non responsabile per contenuti diffamatori. Al contrario, in Stratton Oakmont, Inc. v. Prodigy, un provider che tentava di moderare i contenuti fu equiparato a un "editore" e ritenuto responsabile. Questa seconda sentenza creava un perverso disincentivo: per evitare responsabilità, le piattaforme avrebbero dovuto astenersi da qualsiasi forma di moderazione. Il Congresso intervenne con la Section 230 proprio per risolvere questo paradosso, incoraggiando le piattaforme a moderare i contenuti discutibili (come la pornografia o l'incitamento all'odio) senza temere di diventare legalmente responsabili per tutto il resto del contenuto pubblicato dai loro utenti.


In pratica, grazie a questo "scudo", un individuo la cui reputazione è danneggiata da un articolo di giornale o da un commento diffamatorio non può citare in giudizio Google per averlo indicizzato, né Facebook per averlo ospitato. La responsabilità legale ricade esclusivamente sull'autore originale del contenuto. Questo rende quasi impossibile, dal punto di vista legale, obbligare una piattaforma a rimuovere una notizia o un commento di terzi, a meno che non rientri in una delle poche eccezioni previste dalla legge, che includono violazioni di leggi federali penali, violazioni della proprietà intellettuale (copyright) e leggi contro il traffico sessuale.


 


Analisi Comparativa UE-USA: Due Mondi Giuridici


Il netto contrasto tra l'approccio dell'Unione Europea e quello degli Stati Uniti non è semplicemente una differenza di tecnicismi legali, ma riflette due filosofie opposte con profonde conseguenze pratiche e di mercato.


Il sistema europeo parte dal presupposto della tutela della dignità e della privacy della persona come diritto fondamentale. Il GDPR impone obblighi positivi ai titolari del trattamento per proteggere attivamente questo diritto, e la rimozione di dati non più necessari o trattati illecitamente è un diritto esigibile dall'individuo. Il percorso per la rimozione è primariamente legale e procedurale: una richiesta formale al titolare del trattamento, seguita, in caso di insuccesso, da un reclamo all'autorità di controllo (il Garante della Privacy) o da un ricorso in tribunale.


Il sistema statunitense, al contrario, parte dal primato della libertà di espressione. Il Primo Emendamento e la Section 230 sono progettati per proteggere il "mercato delle idee" e gli intermediari che lo rendono possibile, anche a costo di consentire la circolazione di contenuti dannosi o falsi. Il percorso legale per la rimozione di una notizia è un'eccezione quasi irraggiungibile per la maggior parte dei contenuti che non violano leggi penali federali o di copyright.


Questa divergenza filosofica non crea solo due sistemi giuridici distinti; essa plasma direttamente il mercato dei servizi di reputazione. L'impotenza legale che un individuo sperimenta negli Stati Uniti di fronte a una notizia negativa ha dato vita a un robusto e necessario settore commerciale focalizzato su soluzioni alternative. Se non è possibile rimuovere legalmente il contenuto negativo, l'unica opzione rimasta è quella di "seppellirlo" con contenuti positivi. Questo ha reso la Gestione della Reputazione Online (ORM) e le tecniche di Reverse SEO (analizzate nella Parte V) non solo utili, ma spesso indispensabili. In Europa, al contrario, i servizi ORM agiscono più come un complemento o un'alternativa più rapida al percorso legale esistente. In definitiva, il quadro giuridico di una nazione non determina solo i diritti dei suoi cittadini, ma anche la natura e la necessità dei servizi commerciali che emergono per colmare le lacune e le impotenze di tali diritti.


 


Parte III: Panoramica Globale – Approcci Legislativi a Confronto


Oltre al duopolio concettuale UE-USA, il resto del mondo presenta un mosaico di approcci normativi che spesso cercano di mediare tra queste due posizioni estreme. L'analisi di alcune giurisdizioni chiave rivela un trend globale verso una maggiore protezione dei dati personali, sebbene con significative variazioni locali.


 


Brasile: Il Marco Civil da Internet e la Centralità dell'Ordine Giudiziario


Approvato nel 2014, il Marco Civil da Internet è spesso salutato come una "Costituzione per Internet" per il suo approccio basato sui diritti. In materia di responsabilità degli intermediari, il Brasile ha adottato un modello ibrido che si distingue sia da quello europeo che da quello statunitense.


Similmente alla Section 230, il Marco Civil stabilisce un principio generale di immunità per i fornitori di servizi Internet (provider di connessione e applicazioni) per i contenuti generati da terzi. Tuttavia, questa immunità non è assoluta. La legge introduce un'eccezione cruciale: i provider diventano legalmente responsabili e sono obbligati a rimuovere un contenuto se non ottemperano a una specifica ordinanza del tribunale che ne dichiari l'illiceità. Esiste un'eccezione a questa regola per i contenuti che violano la privacy derivanti dalla divulgazione non autorizzata di immagini o video di natura sessuale, per i quali la rimozione può essere richiesta dalla vittima tramite una semplice notifica, senza necessità di un preventivo ordine giudiziario.


Questo approccio brasiliano rappresenta un interessante "terzo modello". A differenza del sistema statunitense, che lascia le vittime di diffamazione con poche opzioni pratiche, e del sistema europeo, che impone alle piattaforme stesse di effettuare complesse valutazioni legali sul bilanciamento dei diritti, il modello brasiliano delega questa valutazione a un'autorità terza e neutrale: il potere giudiziario. Le piattaforme non sono chiamate a essere arbitri della legalità; il loro compito è più semplice e definito: obbedire a un ordine del tribunale. Questo sistema protegge gli intermediari da responsabilità arbitrarie e da richieste di rimozione infondate, garantendo al contempo alle vittime un percorso chiaro – sebbene potenzialmente più lento e costoso, poiché richiede l'avvio di un'azione legale – per ottenere la rimozione di contenuti accertati come illegali.


 


India: La Digital Personal Data Protection Act (DPDPA) del 2023


L'India ha recentemente modernizzato il suo quadro normativo con l'adozione della Digital Personal Data Protection Act (DPDPA) nel 2023, sostituendo una legislazione precedente considerata frammentaria e inadeguata. La legge, che si applica esclusivamente ai dati personali in formato digitale, mostra una chiara convergenza con i principi del GDPR, pur mantenendo significative peculiarità.


La DPDPA conferisce agli individui, chiamati Data Principals, una serie di diritti che riecheggiano quelli europei, tra cui il diritto di accesso, di correzione e, soprattutto, il diritto alla cancellazione (right to erasure). Un individuo può richiedere la cancellazione dei propri dati personali quando lo scopo per cui sono stati raccolti è stato raggiunto o quando il consenso, che è la principale base giuridica per il trattamento, viene ritirato. Progetti di norme attuative suggeriscono persino l'introduzione di un obbligo per alcune piattaforme, come quelle di e-commerce e social media, di cancellare automaticamente i dati degli utenti dopo un periodo di tre anni dall'ultimo utilizzo.


Nonostante questa apparente convergenza, la DPDPA presenta divergenze cruciali rispetto al GDPR. In primo luogo, non riconosce il "legittimo interesse" del titolare del trattamento come valida base giuridica, rendendo il trattamento dei dati quasi interamente dipendente dal consenso "libero, specifico e informato" dell'individuo. In secondo luogo, e questo è un punto potenzialmente molto limitante per la rimozione di notizie, la legge esclude esplicitamente dal suo ambito di applicazione i dati personali che sono stati resi "pubblicamente disponibili" dal Data Principal stesso o da qualsiasi altra persona che avesse un obbligo legale di renderli pubblici. Questa esclusione potrebbe essere interpretata in modo da rendere la legge inapplicabile a gran parte delle notizie di cronaca, che per loro natura rendono pubbliche informazioni. Pertanto, sebbene la DPDPA introduca un formale diritto alla cancellazione, le sue specifiche limitazioni potrebbero renderne l'applicazione pratica nel contesto delle notizie online più complessa rispetto al GDPR.


 


Giappone: L'Act on the Protection of Personal Information (APPI)


Il Giappone possiede una legge sulla protezione dei dati, l'Act on the Protection of Personal Information (APPI), fin dal 2003, ma essa è stata oggetto di importanti emendamenti, in particolare nel 2017 e nel 2022, per allinearla agli standard globali e ottenere una decisione di adeguatezza da parte della Commissione Europea.


La legge giapponese garantisce agli individui il diritto di richiedere la correzione, l'aggiunta o la cancellazione dei propri dati personali qualora questi siano errati. Inoltre, conferisce il diritto di richiedere la cessazione dell'utilizzo o la cancellazione dei dati personali (e la cessazione della fornitura a terzi) qualora questi siano trattati in violazione della legge, ad esempio perché utilizzati al di fuori dello scopo specificato, perché ottenuti con mezzi illeciti, o perché si è verificata una violazione dei dati (data breach) che rischia di ledere i diritti dell'individuo. L'APPI pone una forte enfasi sugli obblighi degli operatori commerciali (business operators), che devono specificare chiaramente lo scopo dell'utilizzo dei dati e ottenere il consenso per determinati trattamenti, specialmente per i dati sensibili e per i trasferimenti a terzi.


 


Sudafrica: La Protection of Personal Information Act (POPIA)


Il Sudafrica si è dotato di una moderna legge sulla protezione dei dati, la Protection of Personal Information Act (POPIA), pienamente in vigore dal 1° luglio 2021. La normativa è fortemente ispirata al GDPR europeo e adotta molti dei suoi principi fondamentali.


La POPIA conferisce esplicitamente agli interessati (data subjects) un diritto alla cancellazione dei dati. La Sezione 24 della legge stabilisce che un individuo può richiedere a un responsabile del trattamento di correggere, distruggere o cancellare i dati personali che lo riguardano se questi sono "inaccurati, irrilevanti, eccessivi, obsoleti, incompleti, fuorvianti o ottenuti illegalmente". Questo diritto si estende anche ai dati che il responsabile non è più autorizzato a conservare ai sensi dei principi di limitazione della conservazione. La legge prevede sanzioni significative in caso di inadempienza, che possono arrivare fino a 10 milioni di ZAR e includere pene detentive.


Tabella 1: Confronto dei Quadri Giuridici per la Rimozione di Contenuti Online


 


La seguente tabella sintetizza le principali differenze tra gli approcci normativi delle giurisdizioni analizzate, offrendo una visione comparativa immediata.



































































Giurisdizione



Legge di Riferimento



Diritto alla Cancellazione Esplicito?



Procedura Principale



Responsabilità Intermediari



Portata Territoriale



Unione Europea



GDPR (Reg. UE 2016/679)



Sì (Art. 17, "Diritto all'oblio")



Richiesta al titolare (editore/motore di ricerca); reclamo al Garante Privacy.



Piena responsabilità come "titolari del trattamento".



De-indicizzazione su domini UE + geo-blocking. Globale solo su ordine di un'autorità nazionale.



Stati Uniti



Primo Emendamento, Section 230 CDA



No, non esiste un "diritto all'oblio".



Azione legale per diffamazione (standard "actual malice" per figure pubbliche).



Immunità quasi totale per contenuti di terzi (Section 230).



Limitata al territorio USA. Le sentenze non hanno efficacia extraterritoriale automatica.



Brasile



Marco Civil da Internet (Legge 12.965/2014)



No, ma diritto alla rimozione tramite ordine del giudice.



Azione legale per ottenere un'ordinanza del tribunale.



Immunità fino a quando non ricevono un'ordinanza del tribunale che impone la rimozione.



Limitata al territorio brasiliano, ma le piattaforme che offrono servizi in Brasile sono soggette alla legge brasiliana.



India



Digital Personal Data Protection Act (2023)



Sì ("Diritto alla cancellazione").



Richiesta al "Data Fiduciary" (titolare).



Responsabilità per la gestione dei dati, ma la legge esclude i dati "resi pubblici".



Si applica al trattamento di dati di cittadini indiani, anche fuori dall'India.



Giappone



Act on the Protection of Personal Information (APPI)



Sì (Diritto di richiedere la cancellazione/cessazione dell'uso in casi specifici).



Richiesta all'operatore commerciale.



Responsabilità per la gestione corretta dei dati secondo gli scopi dichiarati.



Si applica alle aziende che trattano dati di soggetti in Giappone.



Sudafrica



Protection of Personal Information Act (POPIA)



Sì (Sezione 24, Diritto alla correzione, distruzione o cancellazione).



Richiesta al "responsabile" (titolare).



Piena responsabilità per il trattamento lecito dei dati.



Si applica ai responsabili domiciliati in Sudafrica o che utilizzano mezzi nel paese.







 


Parte IV: La Guida Pratica alla Rimozione dei Contenuti


 


Affrontare la rimozione di una notizia online richiede un approccio strategico e metodico. La probabilità di successo dipende non solo dal quadro giuridico applicabile, ma anche dalla corretta esecuzione di una serie di passaggi. È consigliabile seguire un approccio gerarchico, partendo dalla soluzione più efficace e definitiva per arrivare a quelle successive.


 


Approccio Gerarchico: Dalla Fonte al Motore di Ricerca


 


Il principio guida è semplice: la strategia ottimale è sempre quella di rimuovere il contenuto alla fonte. Se un articolo viene cancellato dal sito web dell'editore che lo ha pubblicato, esso scompare da Internet in modo definitivo e, di conseguenza, verrà automaticamente rimosso dagli indici di tutti i motori di ricerca alla successiva scansione dei loro crawler. Questo risolve il problema alla radice. La de-indicizzazione da parte di un motore di ricerca è un'ottima e potente alternativa, ma deve essere considerata un secondo passo, da intraprendere quando il primo tentativo non ha avuto successo o non è praticabile.


 


Fase 1: Contattare la Fonte (Webmaster e Hosting Provider)


 


Il primo passo consiste nel rivolgersi direttamente a chi ha pubblicato e ospita il contenuto.




  • Identificazione del Contatto: La maggior parte dei siti web fornisce un modo per essere contattati. È opportuno cercare un link "Contattaci", "Contatti" o un indirizzo email, spesso presente nella home page o nel footer del sito. Se queste informazioni non sono disponibili, è possibile utilizzare un servizio di ricerca WHOIS. Eseguendo una ricerca "WHOIS" per il dominio del sito (es. whois www.example.com), si possono ottenere informazioni sul proprietario registrato. L'indirizzo email di contatto si trova spesso sotto le voci "Registrant Email" (Email del registrante) o "Administrative Contact" (Contatto amministrativo).




  • Contatto con l'Hosting Provider: La stessa ricerca WHOIS di solito rivela anche il nome della società di hosting che fornisce lo spazio server per il sito web. Se il proprietario del sito non risponde o si rifiuta di collaborare, contattare l'hosting provider rappresenta un'opzione valida. Molti provider hanno politiche contro l'abuso e possono intervenire se il contenuto viola i loro termini di servizio o leggi specifiche. In alcune giurisdizioni, come l'Italia, l'hosting provider può essere ritenuto responsabile se, una volta messo a conoscenza dell'illiceità di un contenuto, non agisce prontamente per rimuoverlo o disabilitarne l'accesso.




  • Modelli di Richiesta: Quando si contatta il webmaster, è fondamentale mantenere un tono professionale e cortese. Una richiesta aggressiva o minacciosa ha meno probabilità di essere accolta. L'email dovrebbe:




    1. Presentarsi chiaramente.




    2. Indicare l'URL esatto dell'articolo in questione.




    3. Spiegare in modo conciso e chiaro le ragioni della richiesta di rimozione o aggiornamento (es. la notizia è obsoleta e non più di interesse pubblico, contiene inesattezze fattuali, arreca un grave e sproporzionato danno alla reputazione).




    4. Se applicabile, citare la base giuridica pertinente (es. "ai sensi dell'Articolo 17 del GDPR...").




    5. Offrire di fornire documentazione a supporto (es. una sentenza di assoluzione).






  • Avviso DMCA (per violazioni di copyright): Un caso particolare e molto efficace si presenta quando la notizia o l'articolo utilizza illegalmente materiale protetto da copyright, come fotografie, video o porzioni di testo copiate senza autorizzazione. In questo scenario, è possibile inviare un avviso di rimozione DMCA (Digital Millennium Copyright Act). Si tratta di una notifica formale inviata non al webmaster, ma direttamente all'hosting provider, che, secondo la legge statunitense, è obbligato a rimuovere o disabilitare l'accesso al materiale contestato per evitare di essere ritenuto corresponsabile della violazione. Questa procedura è molto efficace per i siti ospitati negli USA ed è riconosciuta come standard da molti provider a livello internazionale.




 


Fase 2: Richieste ai Motori di Ricerca (De-indicizzazione)


 


Se il contatto con la fonte non ha prodotto risultati, il passo successivo è rivolgersi direttamente ai motori di ricerca per chiedere la de-indicizzazione del link.




  • Google: Google mette a disposizione un modulo specifico per le "Richieste di rimozione di informazioni personali ai sensi delle leggi europee sulla privacy". Per compilare efficacemente il modulo, è necessario fornire:




    • Gli URL specifici delle pagine da rimuovere.




    • Le query di ricerca per le quali i risultati appaiono (tipicamente, il proprio nome e cognome).




    • Una descrizione dettagliata del motivo per cui il contenuto è obsoleto, irrilevante o dannoso e perché il diritto alla privacy del richiedente dovrebbe prevalere sull'interesse pubblico all'informazione.




    Google valuta ogni richiesta bilanciando diversi fattori, tra cui: la pertinenza attuale della notizia, il ruolo pubblico del richiedente (le figure pubbliche hanno minori probabilità di ottenere la rimozione), la natura dei dati (le informazioni sensibili come quelle relative alla salute, all'orientamento sessuale o a condanne penali scontate o annullate hanno maggiori probabilità di essere rimosse). Google offre anche moduli separati per segnalare siti con "pratiche abusive per la rimozione" (quelli che richiedono un pagamento per cancellare contenuti) e per violazioni del copyright.




  • Bing: Anche Bing, il motore di ricerca di Microsoft, offre un "Modulo di richiesta per bloccare i risultati di ricerca in Europa". La procedura è molto simile a quella di Google e richiede l'identificazione dell'utente, la fornitura degli URL da bloccare e una spiegazione dettagliata del motivo, selezionando tra opzioni come "inesatto o falso", "incompleto o inadeguato", "non aggiornato o non più pertinente".




Il processo decisionale dei motori di ricerca è spesso percepito come una "scatola nera". Essi devono eseguire un complesso bilanciamento di interessi per ogni singola richiesta, e le loro decisioni interne non sono sempre trasparenti. Le statistiche e l'esperienza pratica dimostrano che i tassi di rifiuto per le richieste presentate direttamente dagli utenti, senza l'assistenza di un professionista, possono essere molto elevati, con alcune stime che parlano di circa l'80% di dinieghi. Questo accade perché le richieste sono spesso incomplete, formulate in modo generico o non adeguatamente motivate dal punto di vista giuridico. Per gestire milioni di richieste, i motori di ricerca si affidano a processi standardizzati che, in caso di dubbio, tendono a favorire la conservazione dell'informazione. Il successo di una richiesta dipende quindi in modo critico dalla capacità di argomentare in modo chiaro e convincente perché, nel caso specifico, il diritto alla privacy dell'individuo prevale sull'interesse del pubblico. Questo spiega perché il ricorso a professionisti legali o ad agenzie specializzate (descritte nella Parte V) può aumentare significativamente le probabilità di successo, grazie alla loro capacità di inquadrare la richiesta nei termini legali e procedurali corretti.


 


Fase 3: La Sfida degli Archivi (Internet Archive - Wayback Machine)


 


Anche se un articolo viene rimosso dalla fonte e de-indicizzato da Google, una sua copia potrebbe persistere nell'Internet Archive, un'organizzazione no-profit la cui Wayback Machine ha l'obiettivo di archiviare una copia storica del web. Questo strumento permette di visualizzare come appariva un sito web in date passate, preservando pagine che sono state modificate o cancellate.




  • Procedura di Richiesta: L'Internet Archive non offre un modulo formale per le richieste di rimozione. L'unico modo per procedere è inviare un'email dettagliata all'indirizzo info@archive.org.




  • Informazioni da Includere: La richiesta deve essere il più completa possibile e includere: gli URL specifici delle pagine archiviate, il periodo di tempo che si desidera escludere dall'archivio e una spiegazione chiara e motivata della richiesta.




  • Probabilità di Successo: La rimozione non è affatto garantita. L'Internet Archive valuta attentamente ogni richiesta, bilanciando la privacy individuale con la sua missione di preservazione della memoria storica digitale. Tende a essere restia a cancellare contenuti, ma richieste ben motivate e basate su validi motivi legali, come una violazione del copyright documentata tramite un avviso DMCA o una richiesta fondata sul diritto alla cancellazione del GDPR da parte di un cittadino UE, hanno maggiori probabilità di essere prese in considerazione e accolte.




 


Fase 4: Escalation Legale


 


Se tutti i tentativi di rimozione diretta e tramite i motori di ricerca falliscono, l'ultima opzione è l'escalation legale.




  • Nell'Unione Europea: Se un titolare del trattamento o un motore di ricerca respinge una richiesta di cancellazione o non risponde entro i termini previsti (un mese, estendibile a tre per casi complessi), l'individuo ha due strade: presentare un reclamo formale all'Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali del proprio paese, oppure adire direttamente l'autorità giudiziaria per ottenere un'ordinanza che imponga la cancellazione o la de-indicizzazione.




  • In altre giurisdizioni: Il ricorso ai tribunali è spesso l'unica via percorribile, specialmente in sistemi come quello brasiliano, dove l'ordine del giudice è il presupposto per la responsabilità dell'intermediario.




  • Azione per Diffamazione: Se la notizia non è solo obsoleta ma palesemente falsa e lesiva della reputazione, è possibile intraprendere un'azione legale per diffamazione. Oltre a richiedere un risarcimento per i danni subiti, si può chiedere al giudice di emettere un'ordinanza che imponga all'editore e/o alla piattaforma la rimozione del contenuto illecito.




 


Parte V: Quando la Rimozione è Impossibile – Gestione della Reputazione Online (ORM)


 


In molti scenari, specialmente negli Stati Uniti o quando una notizia ha un forte e persistente interesse pubblico, la rimozione legale o volontaria del contenuto si rivela impossibile. In questi casi, non resta che passare da una strategia di cancellazione a una di mitigazione del danno. È qui che entra in gioco la Gestione della Reputazione Online (ORM).


 


Introduzione all'Online Reputation Management (ORM)


 


L'Online Reputation Management (ORM) è l'insieme di strategie, tattiche e processi volti a monitorare, influenzare, riparare e gestire la percezione pubblica di un individuo, di un marchio o di un'azienda online. Gli obiettivi principali di una campagna ORM sono tipicamente tre:




  1. Rafforzare una reputazione già positiva.




  2. Riparare una reputazione danneggiata da notizie, recensioni o commenti negativi.




  3. Difendere proattivamente la reputazione da future minacce.




L'esistenza e la prosperità del settore ORM non sono un semplice fenomeno di marketing, ma una diretta conseguenza delle difficoltà e dei limiti intrinseci dei percorsi legali per la rimozione dei contenuti. Come analizzato nella Parte II, il quadro giuridico statunitense rende la rimozione forzata di una notizia un'impresa quasi disperata. Anche in Europa, le richieste possono essere respinte e i procedimenti legali possono essere lunghi e costosi. Questo crea un "vuoto di soluzione" per chi subisce un danno da contenuti negativi che non possono essere legalmente rimossi. Le agenzie ORM riempiono questo vuoto offrendo una soluzione non legale, ma tecnica e strategica: la soppressione.


 


La Strategia della Soppressione: Reverse SEO


 


Quando un contenuto negativo non può essere eliminato, la strategia più efficace è renderlo il più difficile possibile da trovare. Questo è l'obiettivo della Reverse SEO, nota anche come SEO di soppressione o SEO negativa.


La Reverse SEO non mira a rimuovere il link negativo, ma a declassarlo nei risultati dei motori di ricerca (SERP - Search Engine Results Pages), spingendolo il più in basso possibile, idealmente dalla seconda pagina in poi. Poiché la stragrande maggioranza degli utenti non va mai oltre la prima pagina dei risultati di Google, un contenuto "sepolto" in seconda o terza pagina è, a tutti gli effetti, invisibile.


Il meccanismo di funzionamento della Reverse SEO si basa sulla creazione e promozione di una grande quantità di contenuti positivi o neutri di alta qualità, tutti ottimizzati per le stesse parole chiave del contenuto negativo (tipicamente, il nome della persona o dell'azienda). Questi nuovi "asset digitali" possono includere:




  • Nuovi siti web o blog personali/aziendali.




  • Profili ottimizzati su piattaforme social professionali (LinkedIn) e generaliste (Twitter, Facebook).




  • Articoli, interviste o comunicati stampa pubblicati su testate online autorevoli.




  • Video, podcast e altri contenuti multimediali.




L'algoritmo di Google tende a premiare i contenuti più recenti, autorevoli e pertinenti. Promuovendo attivamente questi nuovi asset positivi, un'agenzia ORM può convincere Google a posizionarli più in alto nei risultati di ricerca, facendo scivolare progressivamente il risu